Parigi, Opéra Bastille, “Tristan und Isolde” di Richard Wagner
L’OPERA AI TEMPI DEL VIDEO
Forse non è un caso che gli ultimi spettacoli da noi visti e recensiti a Parigi abbiano come denominatore comune il video: Armide (Robert Carsen), il Flauto Magico (Fura dels Baus) ed infine il Tristano e Isotta con la regia di Peter Sellars, caratterizzato dalle immagini di Bill Viola, l’artista video più interessante dei nostri tempi nonché pioniere di installazioni e video artistici, sul quale è in corso una interessante mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Il presente video, commissionato nel 2004 dall’Opera di Parigi e dalla Filarmonica di Los Angeles, costituisce il primo approccio dell’artista americano all’opera lirica, ma per ragioni di diritti è l’ultima volta che viene rappresentato, dopodiché sarà visibile solo in sede museale. Le immagini elaborate da Viola hanno una forte valenza artistica, ma sono troppo invasive e inevitabilmente catalizzano l’attenzione dello spettatore, a cui risulta molto difficile seguire contemporaneamente quanto proiettato sul maxischermo e l’azione scenica sottostante, immersa in una scena vuota e nera dove c’è solo una panca. Il potere dell’immagine è tale che anche la musica, così travolgente e sconvolgente, passa in secondo piano, come una colonna sonora qualsiasi.
I video non hanno volutamente la funzione di illustrare quello che avviene sulla scena, hanno vita propria e funzionano come rappresentazione simbolica interiore: immagini libere, minimaliste, fili che s’intrecciano come i temi musicali , dagli elementi ricorrenti (acqua, fuoco, mare, sguardo, albero) diversamente rielaborati per scandire le tappe del percorso degli amanti.
Il primo atto illustra i destini paralleli di un uomo e una donna e il loro percorso rituale di purificazione: è quello meno riuscito per i giganteschi primi piani che “schiacciano” i cantanti sulla scena e la noiosa ripetitività. Il secondo atto ha per tema la liberazione grazie all’illuminazione purificatrice dell’amore ed è risolto analizzando l’apporto della luce per concludersi nella più assoluta oscurità. Sorprendente il tema della luce sviluppato a partire dal dettaglio di una candela accesa che cresce e si moltiplica fino a generare un camposanto di lumini con il profilo della donna illuminato nella penombra. Più ovvii il fuoco che avvampa per suggerire la passione di Isotta o la discesa nella notte risolta con un tuffo nell’acqua. Il terzo atto tratta la dissoluzione dell’io nell’agonia ed è caratterizzato dai ricordi e dalle allucinazioni che emergono dalla coscienza. Le immagini tremolanti sono cariche di attesa: un mercantile sfumato nelle brume dell’alba, una figura femminile velata che cammina sul bagnasciuga in un gioco di riverberi di acqua e di luce. Dall’acqua si torna al fuoco che avvampa sullo schermo e che brucia Tristano di febbre e amore.
In una situazione scenica quasi concertante i movimenti ispirati da Sellars sono asciutti, ridotti al minimo , di grande rigore e intensità, carichi di una tensione rarefatta che si comunica allo spettatore. Azzerata ogni fisicità, Tristano e Isotta intonano un inno alla notte immobili e in ginocchio, distanti ma vicini, vicini e già lontani (quasi per parafrasare il loro dialogo), con le braccia aperte come in una preghiera nell’attesa della morte.
Semyon Bychkov offre una direzione fluida e precisa, attenta alla bellezza e alla pulizia del suono, favorito dall’ottima e attenta orchestra, ma nel privilegiare tempi larghi per sottolineare dolcezza e lirismo, perde in intensità e tensione drammatica e non trovano il giusto rilievo quelle dissonanze che scuotono i nervi e quelle folate vibranti e incandescenti che ci si aspetta.
La collocazione del coro nei balconi della sala risulta efficace e genera sonorità avvolgenti.
La produzione ruota intorno a Waltraud Meier, indiscussa protagonista sia per intensità scenica che per precisione musicale, giustamente considerata l’Isotta di riferimento del nostro tempo. Un’ Isotta dai capelli corti, ascetica e interiorizzata, meno sensuale di quella vista in altre occasioni, in grado di generare un’immensa carica drammatica con un leggero movimento della mano, un lampo di sarcasmo subito trattenuto, fino a un Liebestod asciutto e disincantato con il volto immobile espressione di una decisa volontà. Sempre affascinante il timbro, come pure la capacità di trovare il giusto accento e cesellare ogni parola dandogli senso e intensità folgorante. La voce ha dei limiti, soprattutto nel registro acuto, ma l’intelligenza della cantante sa fin dove potersi spingere per ben risolvere l’impegnativo finale.
Clifton Forbis ha voce quasi baritonale di timbro non bellissimo, ma riesce a venire a capo del difficile ruolo con onore e, se delude nel primo atto per difficoltà di proiezione, acquista nel corso dell’opera maggiore spessore vocale con buoni risultati nel duetto e soprattutto nel terzo atto, con un’interpretazione in crescendo sentita e autenticamente dolente. Matti Salminen ha sostituito l’indisposto Joseph Selig delineando un Marke triste e solo la cui voce profonda scuote e commuove ancora. Ottima la nobile Brangäne di Ekaterina Gubanova per la voce sontuosa, duttile e sicura. Bel timbro e dizione scolpita per il Kurwenal di Alexander Marco Buhrmester, corretto Ralf Lukas nel ruolo di Melot. Fra i ruoli minori spiccano per precisione il Pastore di Bernahrd Richter e il pilota di Robert Gleadow.
Alla fine applausi per tutti e ovazioni per Waltraud Meier, carismatica Isotta anche sotto il video.
Visto a Parigi, Opéra Bastille, il 21/ 11/2008
Ilaria Bellini
Teatro